21 settembre 2014

UN INEDITO DI SIMONE DE BEAUVOIR



Inedito cominciato nel 1965, nato dalla sfida di trasferire in una narrazione spunti di veri vissuti, «Malinteso a Mosca» riguarda l’atmosfera della guerra fredda e l’ansia crescente dell’invecchiamento.



Clotilde Bertoni

Inedita De Beauvoir, Malinteso a Mosca


«Poco importa in qual misura e in qual maniera la fin­zione si ispiri alla realtà: essa si edi­fica solo pol­ve­riz­zan­dola per farla rina­scere a un’altra esi­stenza. Le comari intente a fru­gare nella cenere si lasciano sfug­gire ciò che un libro può offrire loro»: in un tempo in cui le flut­tua­zioni tra fic­tion e non fic­tion erano meno teo­riz­zate di adesso ma sem­pre ampia­mente pra­ti­cate, Simone de Beau­voir com­menta così l’ostinazione di vari cri­tici a inter­pre­tare i suoi romanzi (spe­cial­mente il più noto, I man­da­rini) non come libere rein­ven­zioni ma come tra­scri­zioni pun­tuali di fatti auten­tici, e a som­mer­gerli di insi­nua­zioni e pet­te­go­lezzi.

Forse anche per rea­zione a que­sto tipo di acco­glienza, dalla fine degli anni cin­quanta Beau­voir rinun­cia alle ibri­da­zioni troppo strette tra verità e fan­ta­sia, innan­zi­tutto riper­cor­rendo diret­ta­mente la sua sto­ria con un’autobiografia in tre volumi (a cui si aggiun­gerà poi un quarto, A conti fatti), in seguito imper­niando su sto­rie dalla sua molto lon­tane nuove opere nar­ra­tive: Le belle imma­gini, la rac­colta di romanzi brevi Una donna spez­zata, e, prima ancora, un altro romanzo breve, ini­ziato nel 1965 e poi accan­to­nato, che, apparso postumo nel 1992 sulla rivi­sta «Roman 20–50» con il titolo Malin­teso a Mosca(Malen­tendu à Moscou), e ripub­bli­cato nel 2013 in volume, esce ora da noi per Ponte alle Gra­zie (pp. 133, euro 12,00), curato e tra­dotto con grande finezza da Isa­bella Mattazzi.

Esile, scor­re­vole, in appa­renza tipico «testo minore», Malin­teso a Mosca nasce in effetti da una sfida com­plessa, tra­sfe­rire spunti del pro­prio vis­suto in dimen­sioni a esso estra­nee, esplo­rare, attra­verso pro­spet­tive distanti dalla pro­pria, pro­ble­ma­ti­che vis­sute inten­sa­mente in prima per­sona, due in par­ti­co­lare: l’atmosfera della guerra fredda e l’ansia cre­scente dell’invecchiamento. Il libro narra un viag­gio in Rus­sia di Nicole e André, rodata cop­pia di ses­san­tenni, come Beau­voir e Sar­tre all’epoca; ma si tratta di due oscuri pro­fes­sori in pen­sione, uniti, anzi­ché da una rela­zione libera, da un ménage coniu­gale dei più clas­sici; e se il loro sog­giorno (in com­pa­gnia di Maša, figlia di primo letto di André dive­nuta per scelta cit­ta­dina sovie­tica) ricorda quelli effet­tuati dai due scrit­tori lungo gli anni ses­santa (al fianco di un’interprete, Lena Zonina, su cui Maša sem­bra par­zial­mente model­lata), è ali­men­tato da con­vin­zioni dif­fe­renti (l’approccio di André all’Urss muove da una costante, seb­bene non più salda, mili­tanza comu­ni­sta, men­tre quello di Beau­voir e Sar­tre era sforzo di pro­se­guire, sem­pre su posi­zioni indi­pen­denti, un dia­logo già inter­rotto dopo i fatti d’Ungheria, e poi fati­co­sa­mente ricu­cito in nome dei comuni obiet­tivi di lotta).

Inol­tre, se il con­fronto dei pro­ta­go­ni­sti con il pas­sag­gio degli anni può appa­rire di ispi­ra­zione auto­bio­gra­fica (come Beau­voir, Nicole pati­sce il declino del suo aspetto e delle sue ener­gie; come Sar­tre, André cerca di ritro­vare slan­cio nel «calore gio­ioso» dell’alcool), i loro punti di vista, che si avvi­cen­dano in ser­rata alter­nanza, lo legano a altre espe­rienze e a altre emo­zioni, tanto più avvin­centi per­ché di segno oppo­sto. Il restrin­gi­mento dell’avvenire san­ci­sce la fine della pro­tratta inde­ter­mi­na­tezza di André, che, dopo aver rifug­gito ogni voca­zione pre­cisa per restare più dispo­ni­bile alle sol­le­ci­ta­zioni dell’esistenza, si ritrova costretto nell’identità di anziano pen­sio­nato («la vita … gli si richiu­deva addosso; né il pas­sato né il futuro gli offri­vano più alcun alibi»); la per­dita di presa sul tempo implica invece il defi­ni­tivo scacco di una deter­mi­na­zione antica per Nicole, che ha pro­vato a infran­gere i vin­coli impo­sti al suo sesso con ambi­zioni intense («si era ripro­messa di com­bat­tere il suo destino»), ma le ha pre­sto sacri­fi­cate all’amore e alla fami­glia (quel sacri­fi­cio di cui Beau­voir ana­lizza lace­ra­zioni e costi attra­verso per­so­naggi vari, dalla Paule dei Man­da­rini alla Moni­que di Una donna spez­zata).

La forza del testo sta soprat­tutto nella con­ti­nua sovrap­po­si­zione tra il ritmo piano delle occu­pa­zioni e impres­sioni di viag­gio (le lun­ghe file di Mosca, l’incanto di Lenin­grado, il cibo ora pes­simo ora squi­sito, la con­tem­pla­zione delle chiese, l’oppressione della buro­cra­zia) e quello tor­tuoso delle rifles­sioni e dei rim­pianti: impron­tati, come nota Mat­tazzi, a un diverso rap­porto con il tempo, per­ché se André si volge ancora al pre­sente, Nicole teme di vedersi sfug­gire anche il pas­sato, si inter­roga su una feli­cità sen­ti­men­tale sem­pre data per certa, si chiede se la sua vita sia stata dav­vero «quella che lei si rac­con­tava». Meno riu­scito è il ten­ta­tivo di inca­na­lare il pul­vi­scolo cen­tri­fugo delle sen­sa­zioni e dei pen­sieri nella ten­sione cen­tri­peta di un pur eva­ne­scente intrec­cio: il dis­sa­pore occa­sio­nale ma dolo­roso in cui cul­mi­nano le inquie­tu­dini della cop­pia è insce­nato troppo sbri­ga­ti­va­mente, e ancor più sbri­ga­ti­va­mente risolto da un finale con­so­la­to­rio; inol­tre, nella misura cir­co­scritta dalla nar­ra­zione i vasti temi messi in gioco non tro­vano sem­pre respiro adeguato.

Pro­ba­bil­mente que­sta fu l’impressione della stessa autrice, che (a quanto emerge dai cenni di A conti fatti) avrebbe voluto dare all’opera mag­gior svi­luppo, e che finì per lasciarla da parte, senza però dimen­ti­carla: abi­tuata ai rima­neg­gia­menti meti­co­losi, ci tornò sopra per rica­varne un nuovo romanzo breve, L’età della discre­zione, uscito nel 1967, nella rac­colta Una donna spez­zata. Caso com­plesso di riscrit­tura (inte­res­san­tis­simo da ana­liz­zare), L’età della discre­zione con­serva molto dell’ipotesto, anche ripren­den­done alla let­tera parec­chi pas­saggi, ma ne ridi­se­gna total­mente l’impianto.

L’azione si spo­sta dalla Rus­sia alla Fran­cia, la figura di Maša scom­pare, entrano invece in scena per­so­naggi solo evo­cati nella prima ver­sione (il figlio comune, la madre di André), i pro­ta­go­ni­sti sono tra­sfor­mati in due stu­diosi uni­ver­si­tari di suc­cesso, ed è solo la pro­spet­tiva di lei (dive­nuta io nar­rante della sto­ria) a fil­trare i loro per­si­stenti disagi: l’imbarazzo di non iden­ti­fi­carsi in nes­sun par­tito, di «essere con­tro tutto»; e l’imminenza della vec­chiaia, di cui viene illu­strato un ulte­riore risvolto, l’appannamento della viva­cità intel­let­tuale, la fos­si­liz­za­zione invo­lon­ta­ria e per­sino incon­sa­pe­vole nelle stesse idee.

Anche sta­volta, però, Beau­voir si dichiarò insod­di­sfatta dell’esito, affer­mando di aver solo sfio­rato que­stioni troppo ampie; e che forse la toc­ca­vano troppo da vicino per pro­vare ancora a scru­tarle attra­verso altri punti di vista, per farne ancora mate­ria di uni­versi imma­gi­nari. Non avrebbe più raf­fi­gu­rato l’inasprimento dello sce­na­rio poli­tico, nei fatti sem­pre fron­teg­giato insieme a Sar­tre, con un impe­gno tanto misco­no­sciuto (atte­stato, pro­prio in epoca con­ti­gua alla com­parsa dell’Età della discre­zione, sia dall’appassionata par­te­ci­pa­zione al mag­gio 68 sia dalla rot­tura con­su­mata con l’Urss dopo la repres­sione di Praga); avrebbe invece con­ti­nuato a inda­gare i pesi della vec­chiaia e a demi­sti­fi­care i luo­ghi comuni usati per camuf­farli, ma in forme diverse: con il sag­gio La terza età, con la parte finale dell’autobiografia, e infine con La ceri­mo­nia degli addii, cro­naca degli ultimi anni di Sar­tre, espo­si­zione di quello che Malin­teso a Mosca e L’età della discre­zione già paven­tano, il mor­ti­fi­cante dete­rio­ra­mento del corpo e della luci­dità, l’insediamento gra­duale della morte nella vita quotidiana.

Un’esposizione cruda, ama­ris­sima, che sarebbe costata una nuova piog­gia di attac­chi all’autrice, del resto abi­tuata a misu­rarsi, oltre che con il gos­sip dei recen­sori «comari», con l’acrimonia dei cri­tici che non le per­do­na­vano un’altra rap­pre­sen­ta­zione sco­moda, quella della con­di­zione fem­mi­nile, e che arri­va­rono pure a rin­fac­ciarle l’età di cui lei andava mostrando la durezza, senza riu­scire a tur­barla più di tanto: com­men­tando Una donna spez­zata, Mathieu Galey scrisse «Eh sì, signora, è tri­ste invec­chiare»; «Ben­ché sapessi quanto dete­stava le donne, la sua vil­la­nia mi sor­prese», si limitò a osser­vare lei.


Il Manifesto – 4 maggio 2014

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